Italia – Germania 4-3

La mia giornata di oggi era iniziata in modo abbastanza banale.
Dato che dovevo andare dal parrucchiere da settimane, ma non sapevo dove, mi son detta…vado a caso in centro, vedo se nel salone c’è gente, se è vuoto passo oltre, altrimenti prendo appuntamento al momento. Vado quindi in Friedrischstrasse, la via fighetta di Berlino, entro nel primo salone: pieni, vado nel secondo: pieni. Vado nel terzo, mi piazzano alle 16.00. Perfetto – penso – faccio un giretto in zona e poi torno.
Il quartiere è signorile, di classe, tranquillo e io ho appena trovato un parrucchiere. Sono contenta.
Ma non avevo fatto i conti con l’Imprevisto.

Torno mezz’ora prima e trovo la strada bloccata…polizia ovunque, camionette, manifestanti (de che? boh?). Tento di aggirare il blocco, passando da un’altra strada, anche quella bloccata. Inizio a sbuffare. Prendo la Metro, passo sotto al blocco, riemergo ma devo passare un ponte. Chiuso. Tento di sedurre l’affascinante poliziotto tedesco, prima facendogli gli occhi dolci, poi fingendo di essere sul punto di piangere: “Mi scusi ho un appuntamento tra 30 minuti proprio a 100 metri da dove sta lei!”
Lui gentile, ma irremovibile se ne sta dietro le barriere di ferro.
Faccio un altro chilometro, giro su un altro ponte, torno indietro bestemmiando in veneto stretto, incappo in un altro blocco.
Il salone è nella zona rossa, inarrivabile.
“Ma chi deve manifestare?”chiedo imbufalitissima al secondo poliziotto (meno carino del primo).
“E’ la manifestazione per i cattolici antiabortisti per il diritto alla vita.”
“Mi faccia capire…I CATTOLICI stanno attentando alla mia piega????”
A sto punto mi sale il mostro…mi giro e vedo un ristorante di lusso, ha l’uscita fuori dal blocco, ma un’altra porta oltre la barriera della “pula”. Entro nel locale, supero il salone in mezzo ai camerieri, mi allungo verso una porta con delle finestrelle tonde, mentre il maitre si avvicina e mi chiede: “Lei è cliente?” e io con la solita faccia di tolla: “In effetti no, ma ho un appuntamento lì, se mi permette.” E indico fuori dalla porta.
Il parrucchiere è a 60 metri,
Sguscio fuori dal locale. Sono nella strada vuota di civili e piena solo di poliziotti, camionette e cani.
Con passo tranquillo mi avventuro in mezzo al viale mentre centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa si stanno muovendo verso il corteo e poi inizio a correre.
50 metri dal parrucchiere.
Ci sono quasi.
Sembra che nessuno mi noti.
40 metri.
Qualche poliziotto gira il casco verso di me e mi guarda perplesso.
30 metri…dribblo una camionetta, un albero, un tizio con un manganello e visualizzo i parrucchieri, che intanto hanno fermato la porta temendo disordini.
Mi vedono, capiscono che sto per irrompere attraverso il vetro come una furia, spalancano la porta facedomi atterrare nell’atrio del salone col fiato corto.
“Salve ho un appuntamento alle 16.00…so che sono un pò in ritardo, ma me li tagliate lo stesso, vero?”

Morale: Se una donna deve raggiungere il suo parrucchiere: IMPOSSIBLE IS NOTHING, caro il mio bel poliziottino tedesco.

 

stevenph. Steven Meisel

Berlin calling

Comunque tutto sommato i tedeschi non sono un popolo diffidente, dimostrano una certa fiducia nel prossimo soprattutto quando devono affittarti una stanza e/o appartamento.

L’unica cosa che ti chiedono è: stipendio, buste paga, assicurazione sanitaria, fedina penale, esami del sangue, esami dei trigliceridi, impronte digitali, un capello, diplomi dalla 1 elementare fino all’università con allegati voti di esami e note del prof, eventuale storico delle multe per divieti di sosta, storiografia della tua famiglia partendo dalla settima generazione, carta di identità di tutti i tuoi parenti viventi, elenco dei tuoi amori dai 14 anni fino all’altro giorno, analisi finanziaria dei tuoi conti in banca (esteri e non), elenco dei tuoi eventuali investimenti, storico del pagamento delle bollette, compresi i bollettini dell’abbonamento di Topolino fatto nel 87, elenco dei tuoi nei, storico delle eventuali fratture subite e motivazioni, malattie infettive contratte dal morbillo alla sesta malattia, vizi (fumo, carte, corse cavalli, droga, alcool, playstation, nutella, strega comanda color), 7 peccati capitali, veniali, una tua foto di fronte e di profilo col cartellino e numero di identificazione.

Ecco, a parte questo, di te si fidano parecchio.

(Film: Goodbye Lenin_2003_regia: Wolfgang Becker)

 

goodbye-lenin

Sabato, esterno notte.

Ti inoculi in un locale dove non sei mai stata e scopri che è sorprendentemente portentoso: scalette che scendono e ti portano in sotterranei di mattoncini a vista, soffitti a volta, spazi oscuri fatti di piante e tavolini per fumare fuori, bar ricolmi di alcool, panini (!) e zuppe (!!) sale per ballare con consolle alte come altari votivi…poi noti che alle 2.00 sei con un centinaio di persone appena. Ti chiedi come mai, visto che è sabato e il clima è stranamente mite. Poi dai un orecchio a quello che stanno mettendo i due dj…canzoni della prima decade del secolo scorso, pare quasi di vedere Josephine Baker danzare con il gonnellino di banane. Stranamente non propongono “La mia banda suona il rock”, Tullio DePiscopo avrebbe fatto la sua porca figura. Ti trascinano a tradimento in mezzo ad alcuni individui indemoniati che ballano (ballano…oddio…si fa per dire) una traccia dei Limp Bizkit come fosse uscita ieri. Poi ti si para davanti un tizio con due divaricatori per le orecchie grandi come due piattini da caffé, che quando si muovono creano strane correnti d’aria. E lì un pò sconsolata pensi…se Moritzbastei fosse a Milano, l’entrata costerebbe 15 euro senza consumazione, la fila sarebbe lunga 12 km fino alle 4 di notte, al bar sarebbe pieno di calciatori, veline, nani e ballerine e il milanese imbruttito fingerebbe di annoiarsi, scattandosi selfie al cesso con la bocca a culo di gallina.
Ma i Lipsiensi son diversi, che ci volete fare? Del locale figo se ne sbattono allegramente e vanno a bersi la birrozza in ciabatte e bermuda slambrati, seduti su vecchie sedie arrugginite, appoggiati a banconi di metallo raccattato da qualche ferrovecchio e riadattato a bar per la bisogna. Qui a Lipsia la notte si vive così
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Farsi tagliare i capelli a Lipsia: una delle cose che bisogna fare almeno una volta nella vita.

Farsi tagliare i capelli a Lipsia per me è come prenotare una visita dal dentista: tendo sempre a rimandare perché vigliaccamente ho una paura boia di quello che mi capiterà. Anzi se dovessi proprio scegliere preferirei un’estrazione di tutta l’arcata dentale superiore, piuttosto che farmi spuntare la frangia in terra germanica.

Normalmente sono sempre stata fedele al mio hairstylist italiano: se trovo quello giusto, non lo lascio mai più. Qui a Lipsia, invece, ho girato 3/4 saloni e sebbene non sia mai uscita sotto shock piangendo e maledicendo il parrucchiere in 15 lingue diverse, non sono mai del tutto soddisfatta.

La prima cosa che c’è da sapere quando andate a farvi un taglio a Lipsia è che spesso vi sentirete chiedere: “I capelli li asciuga lei o preferisce che lo facciamo noi?” Dato che l’aspetto esteriore a sud di Berlino è considerato una cosa senza importanza, in quando uscire da un salone con una scopa di saggina in testa non è un problema per nessuno, potete tranquillamente portarvi il phon da casa e portare a termine la piega da soli, con un risparmio anche di 8/9 euro.

Come andare a cena fuori e sentirsi chiedere: “La pizza in forno ci pensa lei a impiattarla o gliela dobbiamo portare noi al tavolo?”

Dopo il lavaggio capelli inizia il momento in cui suderete freddo per almeno un’oretta e mezza.

E’ consigliabile presentarsi sempre con una foto esplicativa, in modo che anche se il vostro tedesco non è fluente e ricco di terminologie tecniche, potete mostrare il risultato che sperate di ottenere.

Nella mia esperienza ho notato che la difficoltà maggiore qui è connessa al concetto di “sfilare” i capelli. Quasi sempre i sassoni non sanno cosa sia questa misteriosa attività, ma riescono ingegnosamente a risolvere il problema tirandoti dai lati le ciocche dietro la testa e spuntandoteli solo dietro. In Italia tutti i saloni hanno quella forbicetta adatta a sfilare i capelli, qui non sanno cosa sia. Se poi avete la sfortuna come me di avere una frangia, vi consiglio di sistemarvela a casa da soli.

I taglio della frangia, infatti, viene eseguito nel seguente modo:

vi pettinano i capelli davanti alla fronte e, senza toccarli, li tagliano di netto. Fine della storia.

Oggi mi sono anche sentita chiedere: “Per la frangia come facciamo? La tagliamo? E se viene troppo corta?”

Ho dovuto spiegare io alla Povera Parrucchiera Sperduta che prima va fatto un taglio leggero quando i capelli sono bagnati e, solo dopo averli asciugati, si possono ritoccare. Magari sarebbe anche buona cosa afferrare con due dita la ciocca di capelli e tenerla ferma durante l’operazione. Il ritocco di un taglio qui non ha ragione di esistere, se la lunghezza è giusta quello è e quello rimane. Se non vi piace, arrangiatevi.

Per quasi tutta la durata della delicata operazione tricologica, abituatevi a dover rassicurare la parrucchiera che sta andando bene, in quando vi lancerà occhiate indecise attraverso lo specchio, scrutando di soppiatto e con il cuore in gola la vostra espressione facciale. Quello che lei non sa è che il cuore in gola siete in due ad averlo.

Il momento dell’asciugatura poi, è un’esperienza che dovete provare almeno una volta nella vita.

I capelli vengono infatti phonati un tanto al chilo senza spazzola (ma dopo tutto, a che serve una spazzola in un salone per parrucchieri? tze!) in modo che si riducono ad un ammasso di nodi compatto e opaco, poi semiumidi vengono piastrati senza pietà. A questo punto voi non avete idea della piacevolezza che si prova nel sentire sfrigolare i vostri capelli torturati tra due lamine bollenti.

Il suono ricorda più o meno l’agonia degli astici vivi, quando vengono gettati nell’acqua a 100 gradi.

Ma voi nel frattempo state recitando il rosario, chiedendo a Dio o a qualsiasi altra divinità a portata d’orecchio, di perdonare i vostri peccati presenti, passati e futuri e di non essere punita proprio in quel momento.

La verità è che vorreste scappare via di lì con ancora i capelli umidicci e la pettorina di plastica addosso, perché non ne potete più di sentire i vostri poveri capelli sbatacchiati da una parte all’altra in modo confuso e approssimativo.

Se volete un consiglio dal profondo del cuore, nel caso aveste necessità di rifarvi il look a Lipsia, rivolgetevi ad un negozio di toelettatura per cani. Dicono che in alcuni casi, la pulizia delle orecchie e l’antipulci siano compresi nel prezzo!

david la chapelle 1  ph. David La Chapelle

This girl can. (Regia Kim Gehring)

Kim Gehring in collaborazione con la casa di produzione Somesuch (http://somesuch.co/) firma questo nuovo spot per incoraggiare le donne a fare sport.

Lo spot è stato commissionato da Sport England, un organismo pubblico che dipende dal Dipartimento della Cultura, che ha come ruolo quello di fornire strategie per promuovere lo sport in Inghilterra.

Nel realizzare questa campagna si è scelto come punto di partenza l’ostacolo maggiore che impedisce alle donne inglesi di fare sport: la paura di essere giudicate. Spesso i pensieri che ronzano in testa ad una donna prima di iscriversi in palestra sono infatti: “Sono troppo grassa per allenarmi in mezzo alla gente”, “In questo corso saranno tutte più magre di me, se mi metto a correre mi si vedrà tutta la cellulite…sembrerò un’idiota”.

Per questo motivo, le donne mostrate in questo spot sono assolutamente normali e mostrano capelli spettinati, trucco colato, fisici imperfetti, ma non per questo appaiono meno motivate, libere di sentirsi bene e anche sexy. Lo stesso regista ha affermato: “Ho scelto di celebrare la cellulite, come nessuno ha mai fatto. Le donne sono sempre rappresentate come ideali figure di bellezza e non come esseri umani.”

La presentatrice Clare Balding, per supportare questa campagna, ha aggiunto: “Siamo tutte imperfette ed è giusto celebrare queste imperfezioni. Non valiamo meno per questo. Lo sport non è un privilegio destinato a pochi eletti, ma è un’attività aperta a tutti.”

Lipsia città aperta.

Ieri sono stata alla prima manifestazione politica a Lipsia.

Ero curiosa di vedere come avrebbe fatto questa città a gestire l’incontro di due forze politiche contrapposte, un evento piuttosto inconsueto per qualsiasi comunità.

La prima dimostrazione politica era stata organizzata dal movimento nazionalista LEGIDA (Leipzig Gegen die Islamisierung des Abendlandes = Lipsia contro l’Islamizzazione degli stranieri) partito gemello di PEGIDA (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes) nato a Dresda il 20 ottobre del 2014. Il movimento Pegida è nato da un’idea di Lutz Bachmann, il titolare di un’agenzia di pubbliche relazioni che si trova per l’appunto a Dresda. Il fatto che questo signore spacciasse droga, sia stato beccato dalla polizia a guidare ubriaco e abbia tentato di fuggire in Sud Africa per evitare il carcere (che poi lo ha comunque affettuosamente accolto per due anni) ci fa già capire il tipo di leadership di questo partito politico, che vede tra i suoi sostenitori sia hooligans tedeschi che semplici cittadini.

Gli hooligans tedeschi sono capitanati da Marco Prager, il capo ultrà di uno dei gruppi di tifosi piu’ grandi in Sassonia e vicini alla scena Neonazi.

La prima manifestazione di questo partito ha visto solo un manipolo di persone scendere in piazza, ma mese dopo mese vari altri partiti sono sorti sulla scia di questo: Legida a Lipsia, Fragida a Francoforte, Bogida a Bonn e Dagida a Darmstadt.

La benzina sul fuoco di questi partiti è la politica europea sull’immigrazione, per molti considerata inefficace.

Purtroppo la paura nei confronti della religione islamica è esplosa ancora più violenta in questi giorni, dopo il dramma di Parigi nella redazione del giornale satirico di Charlie Hebdo.

Ma la buona notizia è che – parallelamente a questi partiti nazionalisti – stanno sorgendo numerosi partiti avversari un pò in tutta la Germania e ovviamente anche a Lipsia.

Ieri sera le manifestazioni NO-Legida erano sparse per tutta la città e hanno coinvolto più di 30.000 persone.

E una di quelle 30.000 ero io.

La manifestazione Legida ha invece visto partecipare solo 5000 persone (alcune fonti sostengono anche meno).

La manifestazione in piazza che ho visto era in tipico stile sassone: molti sono venuti in bicicletta e si sono portati dietro il velocipede in mezzo alla folla fin sotto al palco, alcune mamme erano con la carrozzine e, con molta noncuranza, separavano ali di folla come Mosé le acque del Mar Rosso. Sul palco si sono alternati musica e discorsi di ringraziamento tra cui quello di un portavoce dell’Ambasciata francese che ha ringraziato commosso il pubblico per il calore e la vicinanza espressa del popolo tedesco, nei confronti del recente tragico lutto del suo paese.

Striscioni di benvenuto allo straniero sono stati esposti sia sul palco, sia alle finestre.

E non è finita qui.

Come segno di protesta contro la politica dell’intolleranza sono state spente le luci dei maggiori monumenti in città (uno tra tutti il Völkerschlachtdenkmal e anche quelle dello stadio Red Bull Arena e dell’Opera. Alcuni abitanti della zona hanno inoltre seguito l’invito diramato via Facebook di aprire le finestre e mettere ad alto volume “Ode an die Freunde” di Beethoven.

Passeggiare in città con una colonna sonora così poderosa non capita tutti i giorni.

Lunedì ci sarà un’altra manifestazione qui a Lipsia, giusto per sottolineare che la Germania ha il coraggio di dare un taglio netto  agli errori del passato.

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Il buon cuore degli italiani

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Gli Italiani Medi di Buon Cuore a quanto pare ieri sera, grazie ad un servizio di Report sull’azienda Moncler, hanno fatto una scoperta sconvolgente: i piumini dell’azienda – diventati celebri sul mercato dagli anni 80 – vengono realizzati con le piume, queste piume vengono tolte alle oche in modo barbaro e le suddette oche da un po’ di tempo non sono molto d’accordo.

Lo sdegno oggi è esploso nel paese. Domani si prevede di svelare agli ingenui Italiani Medi di Buon Cuore che il prosciutto e la salamella vengono fatti con la carne di maiale e non vengono – come è opinione comune – raccolti nei campi all’ora del vespro, ma soprattutto che il maiale deve essere prima ucciso con un doloroso colpo alla testa. Nel weekend, invece, si spiegherà come le cinture di pelle e le scarpe di pelle e – strano a dirsi – le borse di pelle derivino niente di meno che da PELLE DI ANIMALE MORTO. Si prevedere un autunno fittissimo di impegni per l’Italiano Medio di Buon Cuore che dovrà barcamenarsi tra mille bacheche online per manifestare la sua furibonda indignazione.

Vuoi anche tu diventare un Italiano Medio di Buon Cuore e trascorrere il tuo inverno e la primavera prossima, lanciando strali indignati contro tutto e tutti, sentendoti straordinariamente superiore?

Segui questi semplici passaggi e otterrai anche tu una valanga di Mi Piace sulle varie bacheche di Facebook!

Per diventare un vero IMdBC di un certo successo bisogna prima di tutto manifestare il proprio disappunto, fingendo totale inconsapevolezza sull’argomento centrale del tema trattato. Esempio: “Pazzesco! Macellano il povero bue da anni per cucinare la coda alla vaccinara! Assassini!”

Il secondo step è dichiarare pubblicamente che non si comprerà mai più il prodotto dell’azienda al centro del dibattito.

Esempio: “Sono sconvolta! Ho appena saputo che nei piumini X mettono piume d’oca che strappano alle oche! Non comprerò più piumini da quei manigoldi dell’azienda X!”

Il terzo passaggio, non obbligatorio, ma che rafforza l’immagine di persona pia ma soprattutto con un cuore grande così è augurare le peggiori disgrazie al direttore dell’azienda, a tutta la sua famiglia e ai suoi discendenti fino alla settima generazione.

Per fare tutto questo è necessario usufruire di un computer, ma non ha importanza di quale marca lo compri, tanto in ogni caso molto probabilmente verrà smaltito in qualche discarica fuori dai confini del tuo paese e diventerà merce di scambio per qualche bambino africano in Ghana.

Ma tu non preoccuparti, ancora questa cosa non la sai e per oggi indignarti su questo argomento non serve a nulla.

(in foto: opera di Maria Rubinke)

Lo Chef sconsiglia.

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Il mondo della ristorazione tedesco è un universo quotidiano di sorprese (Überraschunginaspettate e questo perché il tedesco medio ha della cucina un’idea tutta sua. Le richieste dei clienti (Kunde) sassoni sono così articolate e stravaganti da smantellare completamente l’idea che noi italiani abbiamo della rigidità teutonica. I tedeschi non sono affatto rigorosi e irremovibili, almeno per quanto riguarda ciò che possono inserire nel loro stomaco indifeso (Magen).

Se mai capiterete in un ristorante sassone, potreste tranquillamente assistere a richieste di questo tenore:

1- Interessanti questi Gnocchi alla Sorrentina…è possibile averli, ma con gli spaghetti?

2- Il filetto era piuttosto buono, però devo dirvelo sinceramente…non l’avete cotto abbastanza. C’era del sangue (Blut) dentro!

3- Vorrei del vino rosso ma leggero…massimo 5 gradi. E’ possibile averlo? Come dice? Se aveva 5 gradi era mischiato con l’acqua…ma davvero???…no il Cabernet non me la sento, un Merlot? No troppo…va beh mi porti un Chianti e va bene così.

4- Vorrei un Aglio (Zeh) e Olio ma senza aglio e con poco olio. Non sopporto i sapori forti!

5- Non dico che l’Arrabbiata non fosse buona, ma qui fate piatti troppo saporiti…la prossima volta è possibile averla non piccante (scharf)?

6- Buongiorno vorrei comprare del salume…vorrei una fetta di prosciutto e due di salame. Confezionati separatamente, se possibile.

7- Prendo una pizza…qui la fate anche con il vitello tonnato?

8- Questo piatto mi ispira molto, ma potete mettermi al posto delle patate gli spinaci, al posto del cinghiale (Wildschwein) il capriolo (Reh) e al posto delle penne gli spaghetti? (NdA: I piatti in Germania sono composti da pasta/carne/verdura tutte insieme in un solo piatto).

9- Prendiamo una pizza. In due. Un tiramisù. In tre. E una coca. In quattro. No gli altri miei amici non prendono niente, grazie. A questo proposito potrebbe portarci tre cucchiaini e due forchette?

10- Buongiorno, premesso che mia figlia è allergica al lattosio, alle uova, alle arachidi, ai gamberi, al sesamo, alle vongole, alle nocciole, ai pomodori, alle fragole e se mangia ciliege mi vomita, cosa potreste consigliarle?

11- Come dolce non saprei…uhm… nel tiramisù c’è la panna (Sahne)? No? Allora…un tiramisù e un latte macchiato. Vorrei restare sul leggero stasera, grazie.

12- Questo filetto sembra ottimo…potreste solo gratugiarci sopra un pò di mozzarella?

13- Ma come?! Siete un ristorante italiano e non avete i tipici Spaghetti alla Bolognese nel menu?

14- So che non c’è nel menu, ma potreste farmi degli Gnocchi con i gamberetti, ma se non li avete anche Gnocchi con Frutti di mare andrebbero benissimo eh…

15- Non è per fare polemica, ma ve lo devo proprio dire…il Filetto al formaggio caprino sapeva davvero troppo di capra…come mai?

Sul discorso Grana e/o Parmigiano poi bisognerebbe aprire un capitolo a sé stante. Non so per quale motivo, ma i tedeschi sono arciconvinti che in Italia facciamo rotolare valanghe di formaggio gratugiato ovunque, dal pesce alle crostate di marmellata, dalle insalate alla panna cotta.

Il Cappuccino, invece, potete incontrarlo a tutte le ore del giorno, per cui se sarete invitati a casa di un tedesco e all’ora del the vi offrirà latte e caffé non battete ciglio e sentitevi comunque fortunati di aver evitato la colazione.

In Germania alle 8.00 del mattino, in genere, mettono allegramente in tavola wurstel e pancetta.

Guten Appetit!

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(film: Ninotchka_regia: Ernst Lubitsch_anno: 1939_cast: Greta Garbo, Melvyn Douglas)

Excision (Regia: Richard Bates, anno: 2012)

“Excision means “removal by cutting”. In surgery, the complete removal of an organ, tissue, bone or tumor from a body.” (fonte: Wikipedia)

Vi è mai capitato di vedere un film e poi, una volta arrivati ai titoli di coda, rimanere per qualche secondo immobili davanti allo schermo nel tentativo di riuscire a capire davvero quello che avete appena visto?

Ecco questa per me è stata una di quelle volte.

Questo film è classificato come horror anche se, a dire il vero, contiene molti più elementi drammatici e grotteschi che lo rendono decisamente un film non perfetto, ma interessante. Proiettato al Sundance Film Festival del 2012 come opera prima di Richard Bates, non ha trovato purtroppo alcun distributore cinematrografico nel nostro Belpaese.

Fin dalla prima scena la prima cosa che salta all’occhio è la fotografia.

Gli incubi di Pauline sembrano quasi immagini scattate da David La Chapelle, perfette nei loro terrificanti accorpi cromatici che danno vita all’immaginario erotico di una mente disturbata. L’interpretazione di Annalynne McCord (Beverly Hills 90210, Nip/Tuck, The O.C., Ugly Betty), praticamente sconosciuta nel nostro paese, è magistrale non solo per l’intensità che riesce a far emergere in ogni battuta, ma anche nel make up che la imbruttisce in modo davvero impietoso.

Il tema della storia è complesso, in quanto affronta il rapporto tra due sorelle entrambe afflitte da problemi di salute inserite in una famiglia tipica americana: ma mentre la piccola soffre di una malattia fisica ovvero la fibrosi cistica, la maggiore Pauline manifesta chiari segni di patologia mentale. Il film mette a confronto quanto spesso la collettività manifesti un diverso atteggiamento verso due diverse forme di malattia, forse per ipocrisia o semplice ignoranza. Nella nostra società, infatti, la compassione viene spesa solo verso coloro che soffrono di malattie fisiche, mentre spesso si preferisce ignorare o sottovalutare la patologia mentale con tutti disagi che questa comporta. Pauline rappresenta un’originale figura di outsider nel suo essere trasandata e totalmente disinteressata ad un’approvazione sociale. Senza amici, isolata da tutti, appassionata fino alla morbosità di chirurgia, gode solo dell’amore incondizionato della sorellina minore.

I genitori rappresentano due figure speculari, alla madre autoritaria infatti fa da perfetto contraltare un padre smidollato e senza carattere, incapace di guadagnarsi la stima anche all’interno del suo nucleo famigliare.

Da apprezzare senza dubbio è la volontà del regista di mischiare i generi horror e comico riuscendo a far amalgamare in modo armonico in un’unico film scene oltremodo disgustose o al limite del buon gusto, seguite da battute esilaranti (dialoghi con Dio, scambio di “battute” con la professoressa sordomuta), rimanendo comunque sempre credibile.

Da non dimenticare il piccolo cameo di una vecchia gloria del cinema, ovvero Malcom McDowell (l’Alex di Arancia Meccanica) nella parte dell’esasperato professore di matematica.

Ciò che invece non mi ha convinto è l’eccessiva staticità dei protagonisti, che proprio per questa immobilità rendono il ritmo del film troppo monotono in certi casi. La madre invadente, il padre anonimo, il prete insulso restano per tutta la storia fermi e non hanno uno sviluppo psicologico degno di nota.

Il finale, invece, mi ha colpito positivamente non tanto per l’epilogo sanguinoso e piuttosto prevedibile, quanto per la reazione inaspettata della madre che riesce con un grido disumano a manifestare dolore e rabbia, ma non manca con un abbraccio disperato di esprimere tutto l’amore per una figlia, che finalmente riconosce come devastata irrimediabilmente dalla follia. 

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La notte del giudizio (2013) – Anarchia (2014) regia: James Demonaco

La consapevolezza dei limiti della società americana non è certamente un tema nuovo per il cinema d’oltreoceano: Romero, Carpenter, Moore, e molti altri hanno più volte girato pellicole in cui condannavano apertamente l’uso smodato delle armi, i messaggi subliminali nascosti nei media per orientare l’opinione pubblica, la passività dell’americano medio nell’annullare i propri desideri in un consumismo senza freni. Il quasi esordiente Demonaco, quindi, non affronta un tema originale, ma riesce con La notte del giudizio – The Purge (2013) – il primo capitolo di questa storia – a raccontare la fragilità dei valori di un paese, in modo inaspettato ed efficace.

La struttura della trama vuole rispondere alla domanda…What if…ovvero: “Se dessimo a ogni cittadino un’intera notte per farsi giustizia da solo, cosa accadrebbe?” Nel primo film tutta la vicenda si svolge all’interno di una lussuosa casa alto borghese e per una buona parte della storia il gioco funziona benissimo, infatti il livello di tensione resta costante. Il governo americano è gestito dai Nuovi Padri Fondatori, che per diminuire l’accrescersi di ondate di violenza nelle città, hanno stabilito un unico giorno dell’anno dove nell’arco di un’intera notte ogni tipo di prevaricazione è concessa. Tutti diventano giudici di tutti e trovano la loro purificazione in una mattanza lunga 12 ore. L’illusione di sicurezza di una famiglia benestante rinchiusa in una villa isolata come un bunker, va in frantumi davanti a un manipolo di giovinastri (anch’essi figli della buona borghesia) decisi a sfogare i loro istinti omicidi a colpi di ascia e fucili. Il personaggio del bravo e convincente Rhys Wakefield, il leader dei Purificatori, con la sua freddezza e indifferenza anche nei confronti della morte dei suoi stessi amici, ricorda la terrificante pacatezza della coppia di amici in Funny Games.

“La notte del giudizio” mostra la furia che si scatena quando le basilari norme di convivenza civile non valgono più, in un paese che ha fatto dell’uso e abuso delle armi una filosofia di vita. Senza di esse ognuno di noi è in balia non solo del delinquente, ma anche dell’invidia del vicino di casa, della gelosia del parente, del livore di persone che sono prima di tutto vicine a noi.

Già in questo primo capitolo della storia è abbastanza chiaro che che la maggioranza di persone uccise nella fatidica notte apparterrà molto probabilmente ai ceti sociali più inferiori, ovvero quelli senza mezzi per difendersi, mentre i più ricchi potranno acquistare i migliori sistemi di sicurezza per riuscire ad arrivare indenni alle 7.00 del mattino dopo. E da ciò è piuttosto semplice intuire che spazzare via le classi sociali più deboli è il fine ultimo del governo di questa nuova America, poi non così tanto diversa dall’America di oggi, a ben vedere.

Un Ethan Hawke in ottima forma riesce a rappresentare sul suo volto ogni sfumatura di angoscia possibile e regala allo spettatore un’eccellente performance.

L’unico limite di questo film è il ruolo di Wakefield che viene, a mio avviso, troppo presto messo da parte per dare spazio ad un finale troppo zuccheroso, viste le interessanti premesse iniziali.

Tutto sommato, però, la prova registica di Demonaco nel 2013 si può senza dubbio definire un successo, cosa è accaduto invece con Anarchia, il sequel dello stesso regista uscito in questi giorni?

Il secondo capitolo affronta la vicenda da un punto di vista esterno, infatti questa volta la notte dello Sfogo la passiamo tutta per le strade della città.

In questo sequel non esiste più nemmeno un motivo per farsi giustizia da soli, se non la solita trita e ritrita frustrazione sessuale maschile e il desiderio di soldi facili. I personaggi sono appena abbozzati e non hanno nemmeno il tempo di risultarci simpatici, in quanto passano la maggior parte del tempo a correre a destra e a manca tra un vicolo e l’oscurità di una metropolitana. L’atmosfera notturna, stile Fuga da New York, risuona di colpi di arma da fuoco sparati da orde di gentaglia travestita come ad Halloween. In queste 12 ore tutti gli abitanti della città sembrano trovare un buon motivo per imbracciare un fucile, l’odio esplode improvviso anche tra le mura di casa e non risparmia nessuno. Sempre citando Fuga da New York, anche qui non manca l’eroe misterioso e solitario che – non è difficile intuirlo – vuole vendicarsi probabilmente di qualche torto subito nel passato.

Se per caso non fosse chiaro che negli USA i ricchi stanno da una parte e i poveri dall’altra, Anarchia vuole osare ancora di più rispetto al primo film, mostrando i primi vestiti a festa mentre si divertono nell’assistere alla morte di gente comune come nell’antica Roma dei Cesari.

Mancano solo i leoni.

Lacune nella sceneggiatura poi lasciano lo spettatore a chiedersi quale segreto dovrà mai essere rivelato alla sorella del giovane colpito a morte nel finale. Segreto che viene ripetutamente citato durante tutto il flm, ma rassegnatevi: non lo sapremo mai.

La figura di un personaggio alla V per vendetta che riesce a inserirsi nelle frequenza dei canali tv nazionali per diffondere un messaggio di protesta contro l’imperante mentalità del mercato, viene appena abbozzata e buttata via nel finale come un “deux ex machina” qualsiasi necessario unicamente per la salvezza dei personaggi.

Per evitare spoiler, aggiungo solo che l’eroe solitario riuscirà finalmente a raggiungere il luogo dove avverrà la sua vendetta

Ma tranquilli, anche qui il finale al sapore di zucchero filato non mancherà.

Insieme a qualche sbadiglio.

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